Interviste/Scalfarotto (Pd): “La comunità Glbt italiana la più derelitta e trascurata d’Europa”.
March 20th, 2008
Per Ivan Scalfarotto le prossime elezioni rappresentano la seconda sfida nel mondo politico italiano. La prima, nel 2005, lo ha visto scendere in campo per le primarie del centrosinistra. In quell’occasione ci fu chi lo definì un folle, chi un visionario, chi – fu il caso di molti miei amici che lo sostenevano – un idealista che stava cercando di cambiare qualcosa in questo Paese. Da outsider, che si serviva solo di internet e qualche endorsement (da Adriano Sofri a Michele Serra), raccolse quasi 27mila voti (pari allo 0,6%). Stavolta, nella seconda discesa in campo, con il Partito democratico, subisce un meccanismo elettorale che, avendo abolito le preferenze, rende di fatto impossibile misurare il riscontro, in termini di voto, del consenso. E’ candidato nel collegio della Lombardia, e il suo ingresso nella Camera dei deputati è strettamente collegato all’eventuale vittoria del Pd a livello nazionale. E’ uno di quelli che vengono definiti i “candidati gay” del Pd, anche se, come spiegherà in questa intervista che ha gentilmente concesso, lui non parla solo alla comunità Glbt. In questi giorni è stato diffuso su Youtube e sul suo sito il video per la campagna elettorale, diretto da Paolo Virzì (dal titolo: “Comunque mi chiamo Ivan“). Blogger anche lui, è direttore del personale di un istituto finanziario.
Chi è Ivan Scalfarotto?
42 anni, da 6 anni vivo e lavoro all’estero – prima a Londra ora a Mosca – faccio politica dal 2005, quando ho partecipato alle Primarie che incoronarono Prodi. Raccolsi la fiducia di 27 mila italiani e da allora continuo a lavorare per un paese più moderno, più laico, più aperto e più inclusivo. Sono nell’Assemblea Costituente Nazionale del PD, sono stato uno dei 100 componenti della Commissione che ha scritto lo Statuto del Partito e sono attualmente candidato alle Camera dei Deputati nel collegio Lombardia 1.
Tu, insieme a Paola Concia e Andrea Benedino, siete stati giornalisticamente definiti i “candidati gay del Pd”. La “condizione” di omosessuale viene prima di ogni altra cosa, programma politico incluso?
Non direi proprio. Vedi, tra i tanti problemi di questo paese uno dei più gravi è il corporativismo che invade ogni settore della nostra vita civile. Io non credo di essere un “politico-gay” e cioè uno che fa politica rappresentando una piattaforma tutta legata ai diritti dei cittadini GLBT, sarebbe come essere il capo del Partito Pensionati o della Federcasalinghe: tutta gente che in Italia ha fatto brillanti carriere politiche basate sul solo fatto di essere i rappresentanti di un questo o quel gruppo di interessi. Io mi ritengo un “politico-e-basta”, uno che si occupa di diritti ma anche di economia, di lavoro, di politica internazionale. Insomma, io combatto per i diritti dei gay non tanto perché sono gay ma semplicemente perché ritengo che sia giusto: del resto combatto per i diritti delle donne, dei precari e degli immigrati senza essere parte di nessuna di queste tre categorie. Poi, certo, sono un cittadino omosessuale e in quanto tale porto nella discussione il mondo visto dalla mia prospettiva e credo che avere intorno al tavolo dove vengono prese le decisioni più persone che offrono punti di vista oggi non sufficientemente rappresentati aiuta certamente la politica a governare meglio.
La campagna elettorale della Sinistra l’Arcobaleno e dei Socialisti punta molto su alcuni cari alla comunità gay. Il Pd, secondo la sinistra e alcuni gay, sembra essere un po’ latitante. Cosa ti ha convinto a scegliere il Pd?
Mi ha convinto la piattaforma complessiva del PD, il tentativo di lavorare ad un paese non diviso e lacerato, un paese che metabolizzi il fatto che qui o si cresce tutti insieme o non cresce nessuno; mi ha convinto poi la scelta di andare da soli e di assumersi finalmente le responsabilità dell’attuazione di un programma di governo coerente, senza mercanteggiamenti con alleati che votano sempre per senso di responsabilità e mai per convinzione… insomma mi ha convinto il PD, al di là della sua piattaforma per i diritti GLBT. Vedi, io credo che i diritti civili non debbano appartenere a questo o quel partito: in Francia e in Gran Bretagna le leggi sulla tutela dei diritti di cittadinanza sono state promosse da governi di sinistra ma nessun partito di destra, una volta giunto al potere, ha poi cancellato quelle leggi. Lo stesso Rajoy in Spagna ha detto in campagna elettorale che in caso di vittoria si sarebbe limitato a cambiare il nome del matrimonio per i gay in “unione”, lasciando però inalterato il contenuto dei diritti riconosciuti ai partner. E’ dunque certamente importante che persone come me siano rappresentate all’interno del partito, ma il consenso su questi temi dev’essere trasversale ed andare ben al di là di un partito solo. Che poi nel PD (come anche nel’altro partito maggiore) ci siano sensibilità molto diverse tra loro su questi temi, beh, è assolutamente vero.
Come immagini, in caso di elezione, la convivenza con la Binetti?
Come ti ho appena detto, è assolutamente normale che un partito che vuole rappresentare oltre un terzo degli elettori italiani veda al suo interno delle sensibilità diverse su alcuni temi: la linea politica è data da un segretario e da una classe dirigente eletta democraticamente da tre milioni e mezzo di persone. In caso di elezione tutti i parlamentari del Pd, Binetti ed io inclusi, lavoreremo per l’attuazione del programma del Partito; è chiaro poi che io mi batterò per fare del PD un partito laico e lei, probabilmente, farà una battaglia contraria. Vedi, finché ci sarà gente come me nel Partito Democratico, qualcuno potrà rivolgere alla prof.ssa Binetti la stessa domanda che tu hai posto a me: professoressa, come immagina in caso di elezione la convivenza con Scalfarotto? Anzi, perché non cominci a chiederglielo tu?
Cosa pensi dei gay che votano a destra?
Io non riesco proprio a vederla, ma chiaramente queste persone devono ritenere esserci una convenienza nel farsi governare da chi li discrimina apertamente. Li rispetto ma francamente non li capisco.
Tre punti cardine del tuo programma elettorale.
Primo: promuovere il valore del merito. Quindi proporrei l’abolizione degli ordini professionali, per garantire l’accesso alle professioni senza assurde barriere d’ingresso, e l’abolizione del valore legale del titolo di studio, per sradicare la cultura del “pezzo di carta”, favorire la competizione tra le università e combattere il baronato. Secondo: promuovere i diritti e l’uguaglianza dei cittadini. Quindi una legge contro la violenza sulle donne e sulla parità di genere e una legge sull’estensione della possibilità di unirsi in matrimonio per tutte le coppie di maggiorenni non consanguinei che lo desiderino. Terzo: promuovere la trasparenza dei mercati e la libertà di informazione. Quindi una legge che dia indipendenza vera alla RAI dal potere politico, una seria legge antitrust e una legge che tuteli le minoranze nelle società per azioni.
Rutelli, a Roma, ha detto che il tema delle unioni civili va affrontato in Parlamento. Ma partire dai Comuni non è un primo passo?
Il problema non è tecnico-giuridico: il problema è politico. Sarebbe quindi auspicabile che tutte le istituzioni, a qualsiasi livello, affermassero principi di accettazione e di inclusione. Esattamente come fa il Partito Democratico nel cui Statuto è stata inclusa, su mia proposta, una norma anti-discriminazione che esplicitamente include l’orientamento sessuale.
Tu lavori all’estero. Saresti pronto a trasferirti a Roma?
Dimmi: tu tra Mosca e Roma cosa sceglieresti? A parte gli scherzi – tra l’altro Mosca è una città bellissima – è chiaro che avendo accettato una candidatura in caso di elezione mi dedicherei al 100% alla mia attività politica.
Cosa ne pensi dei contrasti che, spesso, esistono tra le diverse associazioni gay italiane?
Non ne penso bene. La comunità GLBT italiana è la più derelitta, trascurata, disorganizzata e priva di diritti d’Europa: chi ha diretto il movimento gay in Italia dovrebbe prenderne atto, guardare a cosa ha ottenuto per esempio Stonewall in Gran Bretagna, chiedersi se per caso non è stato fatto qualche grave errore negli ultimi decenni e ripartire da lì.
Non lo faccio mai, perché i commenti alle interviste li lascio a chi passa di qui: in quest’ultima risposta c’è una drammatica verità, che solo una persona che ha vissuto all’estero ma, soprattutto, ha conosciuto le realtà Glbt straniere, può sintetizzare con una tale crudezza.
No tags for this post.
Leave a Reply