Tel Aviv/Ragazzi-soldati.
July 21st, 2009
Dei soldati ho già scritto, di come mi avesse colpito il loro modo di “esibire” il loro essere militare. Di questi ragazzetti, usciti dalla scuola, e catapultati in un mondo di disciplina e fucili così lontano dai loro 19 anni. Li vedo camminare, soprattutto a Gerusalemme, e non riesco a non cogliere la loro voglia di evasione. La loro età è nei piccoli gesti. Nel nome disegnato col pennarello sul giubbino antiproiettile, nella camminata un po’ dinoccolata, nella fatica con cui sembrano trascinare i loro scarponi anfibi, e, soprattutto, nel fucile portato come fosse una via di mezzo tra un pallone da calcio e un attrezzo con cui non sanno come giocare. Sanno a cosa serve, ma vorrebbero non doverci fare nulla. E, quasi sicuramente, non lo useranno, nella vita reale. Le esercitazioni, ovviamente, sono d’obbligo. Ma è difficile che debbano affrontare una situazione da “cecchini”. Loro, semmai, rischiano di saltare in aria. Non ci sono vie di mezzo, da queste parti. O si vive, o si muore, in Israele. In Palestina, invece, si sopravvive. E’ questa una delle differenze principali tra i due Paesi. Quando ti fermano, per un controllo, vedi che a loro di quelle domande non importa nulla. Ovviamente fermano soprattutto gli arabi. I turisti li lasciano in pace. Questi soldati di leva si sentono parte di un “disegno”, più grande di loro, della loro volontà. Un disegno che li vuole “protettori” dei confini e della sicurezza di Israele, nonostante l’età e l’inesperienza. Del resto, qui la sensazione di stare in una sorta di guerra silenziosa, senza spari, ma con la paura che qualcosa di brutto possa accadere da un momento all’altro, è all’ordine del giorno. Questi ragazzi li ho visti soprattutto a Gerusalemme. E poi a Tel Aviv, alle stazioni degli autobus, diretti appunto nella città “contesa”. I più audaci vanno al mare, col fucile in spalla. Ma anche là capisci che la testa è altrove.
Bambini, giocano a fare gli adulti.