Quando sento che ho bisogno di scrivere, ma i sentimenti sono ingarbugliati e la matassa appare senza inizio e senza fine, mi aiuto con Arisa. Una canzone qualsiasi, apro Spotify, tanti titoli raccontano pezzi di me, relazioni, mancate o finite. E inizio a mettere a fuoco il mio stato d’animo e a tradurlo in parole. Con questo post, inauguro una serie di racconti sulle persone che ho incontrato, recentemente. Che mi hanno fatto sorridere. O mi hanno deluso. It’s life.

Sono tante le parole che non ci siamo detti. E continueremo a farlo, probabilmente. Forse non ci parleremo mai più. Non ci (ri)vedremo. Chissà. Ci siamo incrociati virtualmente per anni. Talvolta scritti, altre solo letti. Un like che è un “ci sono”, ma nulla di più. Poi ci siamo incrociati, dal vivo. Ed era, appunto, come se ci conoscessimo da tanto tempo. Tre volte. La prima, in cui ci siamo osservati, studiati, sorrisi, stretti la mano, promesso di riscriverci, rivederci. Promessa vaga. Forse sono quelle che sopporto di meno. A un silenzio che è ferma consapevolezza dell’impossibilità di portare avanti qualsiasi cosa che non sia una conoscenza e alla promessa di “vedersi un giorno, quando tu non lavori e io mi fermo più a lungo”, ecco, preferisco il primo. Ma tant’è. Però sei stato di parola. Perché la seconda volta ci siamo rivisti. Ci abbiamo lavorato, un po’ di mesi, ed è successo. A Roma. E in una cornice “lavorativa”, un pretesto che era un modo per ascoltarti di nuovo. L’unica possibile, per due persone così lontane ma forse simili. Con due vite diverse, e due cuori, uno occupato, l’altro in attesa di prenotazione. La seconda volta ti ho sentito vicino. E non è stato quando mi hai regalato una dedica, che è ogni volta una sorpresa, anche se – te lo confesso – me la aspettavo. Anzi. Era una delicata pretesa, un po’ come quando fai gli anni e ti aspetti gli auguri in bacheca su Facebook. Ti ho sentito vicino quando ci siamo abbracciati e, per la prima volta, ho sentito il tuo profumo. Ho accarezzato la tua guancia. Ed è stato bello, perché anche se eravamo in mezzo ad un bel po’ di persone, era come se fossimo soli. Era una parentesi, che avremmo chiuso dopo i canonici quindici, venti minuti massimo, prima del taxi, prima del ritorno, lontano da Roma (non sono i chilometri, ma le nostre galassie a essere distanti). Prima di voltare pagina, un punto, un altro breve paragrafo che si chiudeva. La terza e ultima volta, poche settimane fa. In trasferta. Per entrambi. Terreno neutro. E io avevo voglia di stringerti forte. Di dirti “mi sei mancato”, e stop. Non c’è un “dopo”, nei miei pensieri. E’ un voler aprire una parentesi, di nuovo, pur sapendo che si chiuderà, e anche presto. Perché così deve essere. Ed è giusto che sia così. Sì, accontentarsi è importante, non mi piace chi pretende tutto. Questi sono regali, che non si chiedono, si offrono, perché il cuore ha scelto di farlo. Anche quello che è occupato. Ed è stato bello, anche quella volta, stringerti, tra le pareti sgangherate di uno stanzino, stavolta al riparo dagli sguardi di chi non doveva essere pubblico, non di quell’interazione. Un abbraccio, nulla di più. Ti ho stretto forte. E sì, ho smesso e sono andato via, quando me lo ha chiesto, sapevo che era meglio così, perché quando il tempo si ferma, e ti dimentichi di quello che hai intorno, è meglio se smetti di correre. Pedale, freno, retromarcia, altra direzione. Certe emozioni non vanno decifrate, basta masticarle e digerirle. Ne ricorderemo il sapore, solo quello. Ci sono tante parole che non ci siamo detti, ma che prima o poi esploderanno, e forse allora staremo bene.

Ci sono intrecci che nascono con la morte nel cuore. E non è triste, è la vita. Quando, qualche giorno fa, ho scritto che avevo smesso da tempo di cercare un’anima (gemella), è vero. Prendo quello che la vita mi offre, nel supermarket delle emozioni e dei doni carnali, consumo, ringrazio, e vado avanti. Come faccio sempre, con questo post rifletto su quello che mi è appena successo. Non l’ho fatto con nessuno, neanche con me stesso. Scrivere un blog è essere sinceri, con se stessi, prima ancora che con gli altri.

E sì, quegli abbracci sono stati veri.

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57 Responses to “Incontri/1. Quegli abbracci e quelle parole che non ci siamo detti.”

  1. Alexwer Says:

    Mi manchi tanto!!

  2. Ale Says:

    Ciao spero tu stia bene Ti volevo dire che la gattina è ancora con noi sta bene. Invece cellulare XXXX un abbraccio Alessandro

  3. riverblog Says:

    Hey sì, sto bene. Ti abbraccio. Ti ho scritto.

  4. davedreaming Says:

    Mi rincuora leggere il tuo ultimo commento e sapere che stai bene. Non ti ho mai conosciuto ma ti ho letto per tantissimi anni. Hai accompagnato i miei momenti più difficili nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta e nell’accettazione della mia sessualità.
    Spero di tornare a leggerti. Nel frattempo, grazie di tutto.

  5. Carlito Says:

    Come stai Riv?
    Ho provato a mandarti qualche mail, ma niente.
    A me sono successe tante cose negli ultimi anni (Covid a parte).
    Spero tu stia bene, scrivimi se puoi.
    Un abbraccio

  6. FranZ Says:

    Oggi sono passato di qui, perché penso sempre che un giorno tornerai e che sarà come se tutto questo tempo non sia mai passato.

  7. Erry Says:

    Ciao River,
    come stai? Spero tutto ti vada al meglio… ci mancano i tuoi focus… credi tornerai mai a scrivere? C’è un altro luogo (virtuale) dove seguirti?

    Un abbraccio
    E.

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